Prezzo valore, i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate
Prezzo valore e accertamento, quando è legittimo
Se nella compravendita di una casa, per la quale è stata chiesta l’applicazione del criterio del prezzo valore, viene occultata parte del corrispettivo, l’accertamento è legittimo.
A stabilirlo la Cassazione con l’ordinanza n. 19772 del 23 luglio 2019.
Nel dettaglio, la Cassazione ha sottolineato che nel caso in cui, nella compravendita di un’abitazione, per la quale la parte acquirente ha chiesto l’applicazione del criterio del prezzo valore, venga occultata parte del corrispettivo, l’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento di valore e recuperare la maggiore imposta, oltre agli interessi e alle sanzioni.
E’ opportuno ricordare che, secondo quanto stabilito dall’articolo 43 del Testo unico sull’imposta di registro, Dpr n. 131/1986, la base imponibile, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, è costituita dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto. In base al secondo comma dell’articolo 51 dello stesso Tur, in caso di atti riguardanti i beni immobili o i diritti reali immobiliari, per valore deve intendersi il “valore venale in comune commercio”.
Ma con l’articolo 1, comma 497, della legge n. 266/2005 è stata introdotta una deroga a questo criterio generale di determinazione della base imponibile e si è stabilito che per i trasferimenti immobiliari, in presenza di determinate condizioni, la base imponibile può essere costituita dal valore catastale dell’immobile, prescindendo dal prezzo pattuito tra le parti.
Le condizioni sono:
- la cessione deve avere a oggetto un immobile abitativo e relative pertinenze;
- l’immobile abitativo deve essere dotato di rendita catastale, anche solo proposta;
- l’acquirente deve essere una persona fisica che non agisce nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali;
- all’atto della cessione la parte acquirente deve richiedere al notaio l’applicazione del criterio di tassazione sopra indicato;
- il trasferimento deve essere soggetto a imposta di registro (e, quindi, non a Iva);
- il trasferimento deve avvenire a titolo oneroso.
In presenza di queste condizioni, la base imponibile sarà costituita dal valore del bene determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5 del citato Dpr n. 131/1986. Lo stesso comma 497 dell’articolo 1 della legge n. 266/2005, dispone espressamente che “le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito.”
Il comma 498 dello stesso articolo stabilisce che ai contribuenti che si avvalgono della tassazione secondo il criterio del prezzo valore non si applica, tra l’altro, l’articolo 52, primo comma del Dpr n. 131/1986. Questa disposizione disciplina l’accertamento di valore e prevede la possibilità, per l’ufficio, in relazione ai trasferimenti di immobili o di aziende, di applicare l’imposta sul valore venale in comune commercio dei beni trasferiti qualora tale valore sia superiore al corrispettivo pattuito dalle parti.
Ma qualora venga occultato, anche in parte, il corrispettivo pattuito, il richiamato comma 498 prevede che “le imposte sono dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’articolo 71 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986”. Ne consegue che il beneficio della tassazione secondo il criterio del prezzo valore viene meno nel caso in cui le parti abbiano occultato, anche solo in parte, il prezzo effettivamente pattuito.
Ma vediamo la vicenda che ha prodotto l’ordinanza n. 19772 della Cassazione. Un contribuente aveva acquistato un’abitazione chiedendo l’applicazione della regola del prezzo valore e nell’atto registrato dal notaio era stato indicato il corrispettivo di 150.000 euro.
Successivamente alla registrazione dell’atto di compravendita, nello stesso giorno era stato registrato l’atto di mutuo, che l’acquirente aveva contratto con un ente creditizio al fine di ottenere la provvista necessaria all’acquisto dell’abitazione. Dall’atto di mutuo era risultato che l’acquirente aveva chiesto e ottenuto un prestito dell’importo di 260.000 euro, garantito con ipoteca da iscrivere sull’abitazione oggetto della compravendita. In seguito ad attività istruttoria, l’Agenzia delle Entrate ha negato l’applicazione del criterio del prezzo valore, a causa dell’occultazione di parte del corrispettivo.
L’avviso di accertamento emesso dall’ufficio e relativo al recupero della maggiore imposta, degli interessi e della sanzione è stato ritenuto legittimo sia dalle Commissioni tributarie (primo e secondo grado) sia dalla Corte di cassazione. Con la pronuncia in commento è stato confermato che la circostanza che in atto sia stato indicato un prezzo pari o superiore al valore catastale, non impedisce all’ufficio di rettificare la base imponibile qualora ricorrano “…elementi gravi precisi e concordanti che facciano realisticamente supporre che una parte del corrispettivo sia stata occultata…”.
Secondo quanto evidenziato dall’ordinanza, inoltre, dalla perizia eseguita dalla banca che ha concesso il mutuo risultava un valore di mercato dell’immobile pari a 248.000 euro, superiore rispetto al corrispettivo indicato in atto (150.000 euro). I giudici hanno poi richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali, nei quali, in tema di rettifica dei corrispettivi dichiarati nel settore immobiliare, si era affermato che lo scostamento tra l’importo del mutuo e il minor prezzo indicato dal venditore fosse sufficiente a fondare l’accertamento (Cassazione, sentenza n. 26485/2016, e ordinanze nn. 12269/2018 e 14388/2017). E’ stato in conclusione confermato l’operato dell’ufficio.
Con l’ordinanza 3409 del 6 febbraio 2019, la Cassazione ha fatto ulteriore chiarezza sul tema dell’applicazione del criterio del prezzo valore. Secondo quanto stabilito, è sufficiente un’istanza.
La Cassazione ha affermato che se una persona fisica acquista un’abitazione dotata di rendita catastale solamente proposta, per ottenere il risultato che la base imponibile dell’imposta di registro sia determinata in base al cosiddetto principio del “prezzo-valore” (articolo 1 comma 497, legge 266/2005), è necessario formulare un’istanza in tal senso nel contratto di compravendita.
Un’affermazione importante dal momento che nella sentenza 4055 del 12 febbraio 2019, la Cassazione ha deciso l’esatto contrario, ossia che occorre formulare non solo l’istanza di cui alla legge 266/2005, ma anche l’istanza (di cui all’articolo 12, comma 2-bis, dl 70/1988) “di volersi avvalere delle disposizioni” recate dal Dm 701/1994. In base alla sentenza 4055/2019, dunque, se manca la doppia istanza si passa da una tassazione fondata sulla rendita catastale a una tassazione sulla base del prezzo dichiarato (o del maggior valore accertato dall’ufficio).
Nella legislazione previgente rispetto al sistema del prezzo valore, il Dm 701/1994 è stato emanato per disciplinare la procedura da seguire per ottenere la tassazione sulla base della rendita catastale, nel caso di trasferimento di un fabbricato al quale non era stata attribuita una rendita catastale definitiva, ma solo proposta. Questo perché con il Dl 70/1988 era stato introdotto nel nostro ordinamento il sistema della rendita catastale proposta dal tecnico del contribuente, in luogo del previgente sistema della rendita catastale attribuita dal Catasto sulla base della denuncia di nuova costruzione o di variazione presentata dal contribuente.
Prima della legge 266/2005, il presupposto per ottenere la tassazione sulla base della rendita catastale, era quello di formulare nel rogito l’istanza “di volersi avvalere delle disposizioni recate dal Dm 701/1994”. Una volta entrata in vigore la legge 266/2005, per la quale la base imponibile “è costituita dal valore dell’immobile determinato” in base alla rendita catastale, solo che vi sia una “richiesta della parte acquirente resa al notaio”, nei casi in cui si applica il principio del prezzo valore, non ci sono mai stati dubbi sul fatto che è sufficiente la sola istanza di cui alla legge 266/2005.
Una volta formulata tale istanza nel rogito di compravendita si può anche non dichiarare alcuna base imponibile, in quanto la tassazione avviene in ogni caso su base catastale; se anche la base imponibile fosse indicata, e fosse espressa in un ammontare inferiore al calcolo risultante dalla moltiplicazione della rendita catastale, l’ufficio altro non potrebbe che pretendere l’imposta sul valore catastale esatto e non certo sul valore venale.
Applicazione del criterio prezzo valore, basta un’istanza
Con l’ordinanza 3409 del 6 febbraio 2019, la Cassazione ha fatto ulteriore chiarezza sul tema dell’applicazione del criterio del prezzo valore. Secondo quanto stabilito, è sufficiente un’istanza.
La Cassazione ha affermato che se una persona fisica acquista un’abitazione dotata di rendita catastale solamente proposta, per ottenere il risultato che la base imponibile dell’imposta di registro sia determinata in base al cosiddetto principio del “prezzo-valore” (articolo 1 comma 497, legge 266/2005), è necessario formulare un’istanza in tal senso nel contratto di compravendita.
Un’affermazione importante dal momento che nella sentenza 4055 del 12 febbraio 2019, la Cassazione ha deciso l’esatto contrario, ossia che occorre formulare non solo l’istanza di cui alla legge 266/2005, ma anche l’istanza (di cui all’articolo 12, comma 2-bis, dl 70/1988) “di volersi avvalere delle disposizioni” recate dal Dm 701/1994. In base alla sentenza 4055/2019, dunque, se manca la doppia istanza si passa da una tassazione fondata sulla rendita catastale a una tassazione sulla base del prezzo dichiarato (o del maggior valore accertato dall’ufficio).
Nella legislazione previgente rispetto al sistema del prezzo valore, il Dm 701/1994 è stato emanato per disciplinare la procedura da seguire per ottenere la tassazione sulla base della rendita catastale, nel caso di trasferimento di un fabbricato al quale non era stata attribuita una rendita catastale definitiva, ma solo proposta. Questo perché con il Dl 70/1988 era stato introdotto nel nostro ordinamento il sistema della rendita catastale proposta dal tecnico del contribuente, in luogo del previgente sistema della rendita catastale attribuita dal Catasto sulla base della denuncia di nuova costruzione o di variazione presentata dal contribuente.
Prima della legge 266/2005, il presupposto per ottenere la tassazione sulla base della rendita catastale, era quello di formulare nel rogito l’istanza “di volersi avvalere delle disposizioni recate dal Dm 701/1994”. Una volta entrata in vigore la legge 266/2005, per la quale la base imponibile “è costituita dal valore dell’immobile determinato” in base alla rendita catastale, solo che vi sia una “richiesta della parte acquirente resa al notaio”, nei casi in cui si applica il principio del prezzo valore, non ci sono mai stati dubbi sul fatto che è sufficiente la sola istanza di cui alla legge 266/2005.
Una volta formulata tale istanza nel rogito di compravendita si può anche non dichiarare alcuna base imponibile, in quanto la tassazione avviene in ogni caso su base catastale; se anche la base imponibile fosse indicata, e fosse espressa in un ammontare inferiore al calcolo risultante dalla moltiplicazione della rendita catastale, l’ufficio altro non potrebbe che pretendere l’imposta sul valore catastale esatto e non certo sul valore venale.
Nel momento in cui si domanda l’applicazione del prezzo valore, è sufficiente l’istanza di cui alla legge 266/2005 e non occorre anche l’istanza di cui al Dl 70/1988. Quest’ultima è necessaria in tutti i casi in cui, non applicandosi il principio del prezzo valore, al contribuente è comunque concesso di calcolare l’imposta su base catastale ove il fabbricato non abbia una rendita definitiva, ma solo una rendita proposta.
Compravendite immobiliari, perché usare il prezzo valore è più conveniente e ti evita problemi con il Fisco
Introdotto da una legge del 2005, il sistema del prezzo valore è un meccanismo per il quale la base imponibile delle imposte sulle compravendite immobiliari è costituita non dal prezzo, ma dal valore catastale. La sua applicazione non solo consente benefici fiscali per il compratore, ma evita il nascere di contenziosi con il Fisco. Per queste ragioni, il Consiglio Nazionale del Notariato auspica la sua estensione anche alle transazioni di immobili non abitativi.
Compravendita tra privati con il sistema del prezzo valore
"Il prezzo valore è un sistema che si applica ai trasferimenti di abitazioni e relative pertinenze tra persone fisiche che non agiscono nell’ambito di attività commerciali, spiega Enrico Sironi, Consigliere Nazionale del Notariato. "La tassazione non viene fatta in riferimento al prezzo, ma al valore catastale, che è normalmente inferiore al primo".
"Prima del 2005 alcuni acquirenti occultavano il reale prezzo d'acquisto di un immobile per pagare meno imposte. Con questo meccanismo, invece, emergono i reali valori degli immobili e si evitano accertamenti ed eventuali contenziosi con l'Agenzia delle Entrate".
Come si calcola il prezzo valore
Il valore catastale, base imponibile nel sistema del prezzo-valore, si determina moltiplicando la rendita catastale (rivaluta del 5%) per il coefficiente 120 (in assenza di agevolazioni prima casa). Nel caso in cui, ad esempio, venga compravenduta una casa con una rendita catastale di 800 euro, ad un prezzo di 150.000 euro, la base imponibile su cui applicare l'imposta di registro sarebbe pari a 100.800 (800 x1,05 x120). Pertanto l'imposta sarebbe pari a 9072 euro.
Senza l'applicazione del sistema del prezzo-valore, l'imposta dovrebbe essere calcolata sul prezzo della casa (150.000 euro) e sarebbe quindi di 13.500
"Nella compravendita di abitazioni ormai tutti usano il sistema del prezzo valore. Anche nei casi ridottissimi in cui il prezzo sia inferiore al valore catastale - come nel caso di case situate in zone a forte rischio sismico - gli acquirenti lo scelgono perché preferiscono pagare delle imposte lievemente superiori, ma essere sicuri che non ci saranno futuri accertamenti e contenziosi da parte del Fisco".
Proprio per questa ragione, nel corso di una recente audizione nella Commissione bicamerale per la semplificazione, il Notariato ha chiesto l'estensione ai fabbricati non abitativi, perché "comporterebbe un'evidente semplificazione fiscale, con conseguente risparmio di costi, tempo e denaro, tanto per il cittadino che per l'Amministrazione pubblica. E’ un sistema di predeterminazione dell’imposta da pagare che fa contenti tutti".
Ma perché questo sistema non è stato applicato fin da subito a qualsiasi tipologia immobiliare? Spiega Sironi che il sistema è stato approvato perché "il nostro ordinamento costituzionale favorisce la casa familiare, ma spesso è stato trasmesso un messaggio erroneo: quello di uno sconto sulle imposte e di una perdita di gettito per l'Erario". "In realtà con questo meccanismo i valori dichiarati negli atti sono saliti, la gente non ha più nessun motivo per fare del nero. È un’operazione che garantisce fin dall’inizio un rapporto chiaro tra il cittadino e il Fisco".
Lascia un Commento